La pet-therapy (almeno per come io la intendo e la applico) è una particolare terapia psicologica rivolta a persone diversamente abili che prevede l’utilizzo di un animale d’affezione, un “pet” per l’appunto.
Da anni utilizzata nei paesi anglosassoni solo recentemente è approdata in Italia dove le esperienze sin qui realizzate riguardano soprattutto le attività di supporto, con l’aiuto di animali. Essi rappresentano uno strumento per entrare in relazione con i pazienti ed aiutarli a sviluppare capacità cognitive e meta-cognitive come la responsabilità, il rispetto, la stima etc.
La mia personale esperienza nel settore è un po’ atipica e soprattutto è partita in modo indiretto.
Durante le mie sedute di psicoterapia mi accorsi che i miei due dalmata, Gemma e Teseo, diventavano sempre più un riferimento per i pazienti e ben presto furono parte integrante del setting stesso.
Quando suonava il campanello dello studio i cani andavano incontro ai pazienti dando loro il benvenuto con una simpaticissima “risata” (è tipico dei dalmata arricciare il muso, quasi a sembrare un sorriso, quando vogliono comunicare contentezza). Dopo tutti i preliminari di benvenuto andavano a sedersi sul divano accanto alla poltrona del paziente quasi a partecipare in maniera solidale con una situazione terapeutica in cui spesso si ricorda e si soffre. Ho continuato a condividere con Gemma e Teseo le mie sedute per molto tempo fino a che la mia personale storia e la curiosità mi hanno portato ad occuparmi sempre più di cani, a studiare i loro comportamenti, a cercar di capire come meglio allevarli in modo che fossero equilibrati, ubbidienti, sereni e soprattutto che riuscissero a trasmettere tutto ciò.
Ho così iniziato ad usare gli animali in progetti di pet-therapy, avvalendomi anche dell’aiuto di un caro amico, nonché allevatore di labrador, Francis Bisagno.
I suoi cani sono stati utilizzati in alcune esperienze nelle scuole fiorentine, in alcuni ospedali psichiatrici ed in centri per anziani. Le sue “morbidissime” cagne erano magistralmente abili a muovere carrozzelle o a giocare con i bambini alla caccia al tesoro e a palla avvelenata. Ma i labrador sono cani piuttosto grossi ed a volte hanno finito, proprio per questo, per suscitare qualche timore di troppo in qualche soggetto particolarmente apprensivo, generalmente bambini, con comportamenti quale la fuga o vere e proprie crisi di panico.
Mi rendevo sempre più conto della necessità di un cane diverso.
E’ a questo punto che arrivò Dante, il mio primo Bassethound, dall’aspetto accattivante e tenero che dava anche l’impressione di un cane “vero”, grande, come il cane è nell’immaginario di tutti noi. Fu una sorpresa anche per me, non avrei mai creduto che con il suo arrivo tutte le difficoltà che avevo incontrato in terapia si risolvessero magicamente.
Quando si verificano delle tensioni nel gruppo spesso bastava l’arrivo di Dante, con il suo passo lento e lo sguardo da “filosofo”, a farli svanire. Nessuno ha paura di lui ed anche i genitori più diffidenti si lasciano scappare un sorriso di fronte a tanta tenerezza e a quei grandi occhi languidi.
Dante ha segnato una svolta nella mia attività professionale e i progetti di pet-terhapy ormai si basano sui bassethound, sulle loro caratteristiche particolarmente adatte al tipo di lavoro che svolgo.
Si pensi per esempio ai bambini autistici, alla loro iperattività, ai loro spasmi muscolari, e sui quali è sempre molto difficile intervenire per ridurre l’ansia che li pervade. Si pensi agli stessi sdraiati su una coperta, in un bel prato, ad accarezzare la morbida giogaia di un bassethound. Si pensi a quanto rilassamento e senso di calma ciò può indurre. Ed ancora.
In alcune scuole elementari ho messo a punto un progetto che si chiama “Imparo a scodinzolare” dove, attraverso una serie di incontri e di giochi, i bambini imparano a riconoscere i propri sensi e ad utilizzarli comportandosi come un cane. E’ molto divertente vedere una fila di bambini che camminano a quattro zampe, dietro ai miei bassethound,con il naso in terra cercando le chicche nascoste sotto i banchi.
Attualmente la mia famiglia di basset è formata da Dante, Berta, Sofia e la piccola Ada. Ognuno di loro ha delle caratteristiche diverse e per questo vengono diversamente utilizzati.
Berta è la più estroversa e comunicativa. Quando è al centro dell’attenzione “vocalizza” , si sdraia in terra, pancia all’aria, e fa una serie di mugolii mentre muove le zampe come se andasse in bicicletta. E’ bravissima ad accattivarsi la simpatia anche dei soggetti più reticenti.
Sofia è la più giocherellona. Correre con lei durante una caccia al tesoro o durante il gioco della palla avvelenata è davvero molto soddisfacente. Si butta nelle mischie dei bambini e non sembra accorgersi ne temere neanche le urla, a volta davvero molto forti, dei bambini che giocano.
Ada è l’ultima arrivata, la più piccola. Lei è quella che si prende in collo, che si accarezza, che si spazzola, che si bacia. Come tutti i cuccioli è morbidissima ed ha delle orecchie lunghe lunghe che si pesta mentre cammina.
E in ultimo Dante. Mi segue durante le sedute individuali con i pazienti più problematici. Lui è il vero “dottore”. Fra me e lui c’è una sintonia perfetta e spesso prende l’iniziativa senza che io lo stimoli a fare. E’ quanto è capitato con Matteo, un ragazzo con gravi disturbi psichici con il quale fu inizialmente difficile instaurare una relazione, sfuggiva ad ogni stimolo. Ma Dante lo capì, bastò che Matteo si mettesse a sedere per cominciare a leccarlo tanto insistentemente da farlo finalmente ridere e parlare.