Chi può dire oggi di non aver un vicino a quattro zampe? Cresce costantemente, infatti, il numero dei cani che popolano i condomini. Spesso li incontriamo per le scale quando scodinzolano gioiosi intorno ai loro padroni, li sentiamo abbaiare allo squillo del campanello o quando giocano divertiti; talvolta li sentiamo piangere e mugolare se soli in casa da troppo tempo. I nostri amici a quattro zampe sono sempre più ricercati e benvoluti da innumerevoli famiglie che li accolgono nei loro appartamenti, scegliendo di conviverci.
Tuttavia, non manca chi non vede di buon occhio questi nuovi vicini, ritenendoli una grave minaccia alla quiete e all’igiene del palazzo.
Ma oggi gli amanti dei cani, seppur vincolati alle comuni norme di prudenza e del vivere civile,
possono stare più tranquilli. A dirlo è la legge, l’art. 1138 ult. comma del codice civile, il quale, così come modificato nel 2012, stabilisce che “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”.
Tale norma, consolidando il favor animalis già manifestato dalla Suprema Corte (Cass. civ., 15 febbraio 2011, n. 3705; Cass. civ., 26 marzo 2008, n. 7856; Cass. civ., 4 dicembre 1993, n. 12028), ha riconosciuto al condomino, nell’esercizio del suo pieno diritto di proprietà esclusiva all’interno dell’appartamento, il diritto alla coabitazione con l’animale domestico, tutelandone il rapporto affettivo.
Nondimeno, parte della dottrina, supportata dall’autorevole, ma non vincolante, parere espresso sul punto dalla Commissione Giustizia del Senato, ritiene che tale norma si riferisca ai soli regolamenti approvati a maggioranza e che, pertanto, il divieto possa ancora oggi essere inserito nei regolamenti approvati all’unanimità.
In altri termini, il dubbio è se la preclusione al divieto sia derogabile mediante apposita clausola contenuta in un regolamento contrattuale espressivo della volontà di tutti i condomini.
Solo in futuro, con il formarsi di una giurisprudenza in materia, la questione potrà essere risolta.
Per quanto ci riguarda, però, riteniamo che la norma di cui all’art. 1138 ult. comma c.c. vada interpretata nel senso che il divieto di possedere animali domestici non possa essere inserito né all’interno di un regolamento contrattuale né all’interno di un regolamento assembleare, e ciò per due ragioni: perché la lettera della norma non prevede alcuna distinzione o deroga, e in quanto, ove si ritenesse possibile prevedere il divieto questione in un regolamento contrattuale, lo scopo della nuova disposizione ne risulterebbe notevolmente vulnerato.
Articolo di Viviana Chiara Miranda e Marta Bonci Avvocati